Ritorno a Monkey Island!

No, non è un pesce d'aprile in ritardo. A quanto pare è tutto confermato: Guybrush Threepwood tornerà con le sue avventure piratesche in Return to Monkey Island, titolo pubblicato da Devolver Digital e che vede al timone Ron Gilbert affiancato da Dave Grossman.
Il gioco è previsto per il 2022... ma... aspettate un attimo... il 2022 è quest'annooooooohohoooo!!!11!!!1

 

Giochiamo insieme a Monkey Island - Speciale 30° Anniversario

Per celebrare degnamente i 30 anni della saga di Monkey Island, Gwenelan e il signor OjO hanno deciso di giocare in diretta al primo capitolo della serie, non perdendo l'occasione per lasciarsi andare a lunghe chiacchierate e scambi di opinioni.

The Hand of Glory

Lazarus Bundy è un detective della polizia di Miami, e nella sua carriera ha risolto brillantemente molti casi. Adesso, però, è incappato in Blowtorch, un killer che sembra impossibile da catturare. Quando anche l'ennesimo tentativo fallisce, e a Bundy viene ritirato il distintivo, tutto sembra perduto. Ma un ultimo caso si profila all'orizzonte: il rapimento di Kathrin Mulzberg, figlia di un riccone di Miami. Riuscirà il detective a ripristinare la sua reputazione e a risolvere il caso?

Questi quesiti resteranno senza risposta, perché The Hand of Glory è solo la prima parte di un'avventura grafica realizzata, dalla Madit Enterteinment e dalla Daring Touch, in due episodi.

Il gioco si ispira, molto esplicitamente, alle serie di Broken Sword e Gabriel Knight, classici del genere.

The Hand of Glory ha infatti lo stile di gioco “classico”: dovremo raccogliere oggetti, combinarli e in generale risolvere puzzle ed enigmi disseminati lungo il corso del gioco.
Il design degli enigmi è buono, fatta eccezione per un paio di situazioni inverosimili e troppo convolute (il puzzle del bingo e quello del pianoforte).
Forse la difficoltà generale avrebbe potuto essere maggiore: un avventuriero stagionato non si bloccherà facilmente, gli enigmi non sono molto complessi. Però, le aree sono molte, gli oggetti da trovare anche, e le piste da seguire in contemporanea sono quasi sempre due o tre, quindi l'esperienza non risulta lineare e automatica neanche per chi è molto esperto.

Interessante la piccola comparsata che fa Alice, la “spalla” di Bundy. Potremo utilizzarla per breve tempo e avremo a disposizione la sua capacità di leggere il linguaggio del corpo, un po' la versione semplificata di quel che abbiamo già visto in, per esempio, Moebius.

Purtroppo, questa feature appare solo una volta o due, e qui comincia a vedersi un po' quello che è uno dei problemi principali del gioco: la mancanza di focus. Da un lato, il gioco è “vecchio”, nel senso che si rifà un po' supinamente a meccaniche vecchie, conservandone anche gli elementi ampiamente superati (i puzzle convoluti e fuori luogo). Dall'altro lato, strizza l'occhio al “nuovo” con cose come la feature di Alice, senza però darle il necessario spazio o svilupparla a tutto tondo.

Direi comunque che dal lato del gameplay si è fatto un lavoro sufficiente, specialmente considerando che questa è la prima avventura grafica dell'autore, Stefano Rossitto.

Dal lato narrativo, invece, i problemi abbondano.

La storia, di per sé, riprende un po' il tono al limite del verosimile di Broken Sword, ma va un po' troppo in là con l'umorismo e con la mancanza di verosimiglianza, da una parte, e con la tragedia, dall'altra. I cattivi sono o assolutamente macchiettistici e ridicoli (nel senso che non fanno alcuna paura), oppure sono dipinti come molto spaventosi e le loro gesta sono descritte con dettagli anche molto crudi (Blowtorch), come se la crudezza in sé dimostrasse che le cose si fanno “serie”. Siamo di nuovo alla mancanza di focus: un momento c'è una scena assolutamente assurda e dall'intento comico (la lotta dei due operai), il momento dopo Bundy sta sparando un pistolotto melodrammatico, sulla sua vita o sull'indagine o su qualcosa, che vorrebbe essere preso sul serio, ma è molto difficile farlo.

Manca coesione nella visione artistica generale, e questa mancanza di coesione si sente a più livelli. Per esempio, da un lato, si vede che c'è stato lo sforzo di pensare e realizzare molti dettagli, sia dell'ambientazione che dei personaggi. Ho anche apprezzato che si siano evitati i cliché più beceri e il citazionismo ai classici delle avventure grafiche, che francamente ha rotto le scatole da un po'.

Ma i dettagli scelti non sono coesi fra loro, non lavorano a creare un'immagine unica e distintiva dei personaggi o dell'ambientazione, non li caratterizzano veramente. Alcuni sembrano quasi scelti a caso, come il vestiario di Bundy: maniche corte con guanti e sciarpa. E' di discendenza italiana, non tedesca, se ve lo steste chiedendo.

O ancora il comportamento incoerente dei cattivi: catturano Bundy senza ucciderlo, cosa assurda ma accettabile con un certo sforzo per via del tono “alla Broken Sword” (che comunque gestiva la sua logica interna con più coerenza), però poi ammazzano il cane.

E, ovviamente, non manca l'elemento sempre presente nelle detective stories che non riescono a gestire gli indizi e la rivelazione della verità: Bundy che non capisce cosa chiarissime che gli stanno sotto gli occhi, mentre noi siamo lì che abbiamo capito già da tre ore.

Anche il lato artistico soffre di questa discrepanza: i disegni, già abbastanza acerbi, sembrano realizzati da mani diverse. Nella stessa area abbiamo due stili contrastanti, senza apparente logica: dettagliati e arzigogolati da una parte, piatti e lineari due centimetri poco più in là.

Ancora: se il ritmo dell'avventura di per sé è buono, perché succede sempre qualcosa e non ci si annoia mai, il ritmo con cui si sviluppa la storia è strano e traballante. Il gioco è diviso in giornate, ma non è chiaro il ritmo di queste giornate: finiscono di botto, senza che uno se lo aspetti. Non viene scandito il tempo in modo efficace.
L'ultima giornata, peraltro, procede a velocità accelerata e ho avuto l'impressione che si volesse chiudere tutto in fretta. Un pezzo è addirittura saltato, con Bundy che ci racconta come ha risolto il problema! Ora, capisco che magari non era molto divertente farci fare quella cosa e si voleva far passare il giocatore a quella successiva, ma questa è la pezza sul buco: inventarsi qualcosa di più divertente, in modo da non avere questo brutto salto? Non ricordo un altro gioco in cui mi sia successa una cosa simile.

Ma sopratutto, manca il building dietro qualsiasi sviluppo della storia, e anche dietro il protagonista, Bundy, e la sua spalla, Alice. C'è il tentativo di dare loro uno spessore ma, purtroppo, lo si fa nel modo sbagliato.

E se Alice se la cava con una tritissima backstory, che strizza l'occhio al femminismo nel modo più pigro possibile, e che ovviamente è spiattellata al giocatore in un dialogo, a Bundy tocca l'elemento che mi ha fatto scadere tutta la storia. La spiegazione sarà priva di spoiler.

Alla fine del gioco, dopo che Bundy ha ripetutamente fallito nella sua missione ed è tornato a casa sconfitto, alle ripetute insistenze di Alice che lo sprona a non arrendersi, lui risponde con una “rivelazione” su se stesso che cade dal cielo e che dovrebbe, credo, nell'ottica di chi ha scritto, suonare Tragica e dare immediato spessore a un personaggio che finora è risultato di carta velina.

Purtroppo, non funziona così, a meno che non ci si trovi in una puntata di Beautiful. Non si prende un argomento come questo (ma nessun argomento, ma specialmente questo tipo di cosa) per calarlo di botto nella storia, senza costruzione, senza niente, sperando o pretendendo che crei profondità.

Se questa è la storia di un uomo che sta lottando contro questa cosa (o contro il suo orgoglio, più probabilmente, ma è inutile stare a spaccare il capello), se questo è il problema che lo porta a sbattersi e a fallire, devono perlomeno esserci dettagli, lungo il corso del gioco, che a posteriori facciano capire che sì, lui non ce l'ha fatta per questo, e qui lottava contro questo, e lì ha fallito per questo. Non è affatto così in The Hand of Glory: Bundy non ha mai nessuna “fitta lancinante” e il suo corpo non “lo tradisce” mai. Bundy si arrampica per i cornicioni, salta, insegue gente, fa voli dalla finestra e prende cazzotti da energumeni alti il doppio di lui. Soffre come qualsiasi persona normale, in un set fatto di finto-cattivi e battute assurde – un set che non si fa prendere sul serio e che adesso fa finta, invece, di avere “qualcosa da dire”.

I Grandi Argomenti, da soli, non fanno lo spessore, come non la fanno i dettagli truculenti: è la conoscenza che si ha di questi argomenti, il modo in cui si usano per rivelare qualcosa dell'animo umano, che fanno la magia. Non si prendono a caso, per metterli lì e dare un tocco di Serietà alla propria opera.

Se volete un esempio di gioco che sia old, comico ma serio e che gestisce eccellentemente sia gli enigmi, sia la sua ambientazione e i personaggi, senza ricorrere ai trucchi delle soap per parlare comunque di esperienze orribili, giocate Paradigm, altro gioco indie realizzato da un solo autore.

Chiudiamo con il reparto tecnico. Del comparto grafico abbiamo già detto. Le animazioni sono poche e bruttine, purtroppo. La musica, invece, non mi è dispiaciuta: è abbastanza varia da adattarsi alle varie situazioni e l'ho trovata anche molto piacevole da ascoltare.

Il doppiaggio del gioco è in inglese e mi è parso molto buono. Ovviamente, tutti i testi sono in italiano. Per una volta, è la traduzione inglese a lasciare un po' perplessi in alcune sue parti, ma lasciamo ai nativi anglofoni il compito di analizzarla.

Ho molta difficoltà a suggerire The Hand of Glory, e mi dispiace, perché ero partita molto ben disposta e già pronta ad aspettarmi una storia “alla Broken Sword”, con i suoi personaggi un po' sopra le righe e le sue situazioni abbastanza inverosimili. Ma ho pochi elementi positivi davanti. È vero che quantomeno gli enigmi non insultano il vostro cervello, ma questo è forse l'unico pro del gioco e non posso credere che, nel 2020, questa sia la vostra unica scelta.

Death Coming

Sapete come si dice, no? La morte arriva per tutti, prima o poi. In Death Coming, la morte arriva più prima che poi.

Death Coming è un puzzle game della NEXT Studio in cui impersoniamo l'assistente del Tristo Mietitore. Il nostro compito è, ovviamente, quello di ammazzare più persone possibile, scatenando dei piccoli (o, a volte, non tanto piccoli) incidenti.

Ogni mappa va esaminata a fondo, in modo da imparare i pattern dei vari personaggini e la posizione delle varie Trappole Mortali, degli oggetti, dall'aspetto anche innocuo, che possono essere usati per uccidere qualcuno. Per esempio, un semplice vaso di fiori, se cade nel momento giusto, può essere infausto...

Bisogna avere inventiva e tempismo, in modo da non sprecare le Trappole e da far fuori più gente possibile. In alcuni casi, dovremo eliminare alcuni NPC specifici in modo da attirarne altri, che altrimenti sarebbero inaccessibili.

Le aree sono molto varie e tutte simpaticissime. Si va da una fabbrica di missili alla prigione di King Kong a un'isola misteriosa. C'è sempre una storiella che fa da sfondo alle mappe. Per esempio, nella mappa di King Kong, c'è la biondina che vuole liberare Kong e fuggire con lui. Nella mappa dell'isola, abbiamo una specie di Indiana Jones che vuole scoprire i segreti dell'isola.

Uccidendo i giusti NPC, faremo progredire queste storie, ma non è necessario farlo per vincere lo scenario. Dobbiamo uccidere un numero minimo di personaggi, e ci sono 3 NPC speciali per ogni mappa (i personaggi chiave per la “storiella” dello scenario, diciamo). Se riusciamo a uccidere tutti, ma proprio tutti gli NPC, avremo un bel bonus al punteggio, oltre che la soddisfazione di vedere lo scenario completo. Altri bonus si ottengono facendo delle combo kill, ossia uccidendo più gente in una sola mossa.

Le mappe aumentano man a mano di complessità. Ben presto viene inserito il tempo atmosferico, che modifica le Trappole: alcune funzionano solo con la pioggia, per esempio, altre con la neve, altre con il sole, e così via. Quando avremo la possibilità di modificare il tempo a piacimento (circa), ci troveremo spesso a dover intrecciare le trappole fra loro per massimizzare la nostra efficacia.

Un altro ostacolo è dato dagli Angeli, la “polizia” dei cieli che viene a romperci le balle dopo un tot di uccisioni. Gli Angeli hanno un cono visivo celeste e se ci beccano a cliccare su qualcosa entro il loro cono, ci “multano” - ossia, ci tolgono una vita. Come nel più classico dei casi, abbiamo 3 vite, poi dobbiamo ricominciare il livello.

Death Coming è simpaticissimo e molto carino; il problema è che, specialmente all'inizio, risulta ripetitivo. Un'altra cosa che non ho molto apprezzato, è che siamo quasi obbligati a dover rifare lo scenario almeno due volte, se vogliamo puntare a uccidere tutti quanti: la prima volta, è difficile riuscire a capire bene tutti gli intrecci di NPC/trappole/agenti atmosferici/ecc ecc... Quindi tocca “sprecare” una ventina di minuti per scoprire i segreti dello scenario, poi tornare indietro e rifarlo “per bene”. È frustrante anche quando si crepa proprio alla fine, quando mancava giusto UN dannato NPC per terminare con il massimo punteggio: anche in quel caso, bisogna ripartire da zero. Questo, comunque, succede raramente, basta stare davvero attentissimi ai maledetti angeli.

Ulteriore occasione di varietà è data dagli scenari bonus, in cui bisogna ammazzare quanti più angeli possibile, per esempio, o far fuori un sacco di NPC in maniera più “diretta” e cose così.

Graficamente, il gioco è adorabile, pucciosissimo. Tutti i personaggini sono kawaii e blocchettosi, la palette è molto colorata, gli effetti sonori sono comici. La musichetta di fondo è carina e, se non dico sciocchezze, si tratta di una versione dello Schiaccianoci.

Death Coming è anche in italiano. La traduzione presenta qualche errore, ma è più che sufficiente per giocare senza problemi.

Che dire? Ogni tanto serve anche un gioco come Death Coming, da giocare in mezzo a roba più impegnativa, magari. Giocarlo tutto di un fiato potrebbe annoiare, perché, nonostante la varietà che si sforza di introdurre, la meccanica è bene o male sempre quella. Ma è carinissimo, simpatico, dona una sfida non indifferente (specie negli scenari avanzati) ma è scalabile anche per chi non vuole impegnarsi tantissimo. Molto ben riuscito!

Iniziano le indagini del Detective Gallo

Siamo molto felici di annunciare l'uscita di Detective Gallo, l'avventura grafica con protagonista un gallo detective (ebbene sì!) e realizzata in stile cartoon dallo sviluppatore italiano Footprints Games.

Cinque piante esotiche sono state seccate in circostanze misteriose. Nessuno sembra preoccuparsene più di troppo, ma un eccentrico multimiliardario vuole che qualcuno risolva questo strano caso ed è pronto a elargire una ricchissima ricompensa a chi ci riuscirà. Detective Gallo e il suo accappatoio giallo sono pronti a sbrogliare l'intricata matassa.

Voi non fate i polli e precipitatevi su Steam o GOG per dare un'occhiata a questo promettente titolo d'avventura.

Jengo porta su Fig un'altra avventura punta e clicca!

Una nuova avventura grafica sbuca su Fig, in cerca di supporto. Si tratta di Jengo, della Robot Wizard.

In Jengo, noi seguiremo Jeff, un giocatore veterano alla ricerca del gioco definitivo. La sua ricerca lo porterà però a scontrarsi con le guardie di Old Meta, un luogo remoto ai confini del Pixelverse.

Saremo capaci di aiutare Jeff a fermare l'Apocalisse?

Pagina Fig di Jengo

The Low Road

Noomi Kovacs si è appena laureata a pieni voti dalla LeCarre Institute for Exceptional Spies ed è stata assunta alla Penderbrook Motors. Il problema? Le spie lavorano per telefono, stile call center. Noomi immaginava avventure mozzafiato alla James Bond, non vuole passare la sua carriera dietro a una scrivania, ma pare non avere scelta: solo a uno di loro è concesso partire per le missioni sul campo, e questo onore è al momento dato a uno sbruffone dalla giacca ridicola.
Riuscirà Noomi a sbaragliare la “concorrenza” e a far avanzare la propria carriera?

The Low Road è un'avventura grafica indie, sviluppata dagli XGen Studios. Noi interpretiamo, naturalmente, Noomi e il nostro compito è dapprima quello di essere inviati in missione e in seguito quello di completare la missione con successo (ehm, avevate dubbi sul fatto che ci avrebbero mandato in missione XD?).

Di solito parto con l'analisi della storia, ma nel caso di The Low Road bisogna partire dal gameplay perché qui sta il maggior potenziale del titolo e anche il suo maggior problema.

All'inizio del gioco, ci verrà affidato il compito di scoprire delle informazioni per telefono. Ci verrà dato un fascicolo sulla persona che stiamo per contattare e dovremo decidere che approccio utilizzare per farle sganciare le info che ci servono. È possibile riuscire nella telefonata al 100%, fallire miseramente o anche riuscire in maniera parziale (ottenendo alcune informazioni ma non tutte).

È fantastico. È un mix di analisi psicologica del soggetto e di sfruttamento delle info che abbiamo sottomano, fra cui bisogna discriminare quelle utili da quelle inutili.

Purtroppo, questo non è il gameplay del gioco. Questa meccanica viene sfruttata solo un'altra volta in tutto il gioco, e basta. Per il resto, si tratta di un'avventura semplificata a base di minigiochi e piccoli enigmi, sempre molto facili.

Qui, i problemi sono in realtà due. Il primo, è che il gioco ci mette davanti quest'idea, questa meccanica che ci attira, e che poi non usa. Il resto del gioco vede quindi aleggiare su di sé il fantasma del “cosa sarebbe potuto essere”. Noi giochiamo, siamo magari pure divertiti, ma abbiamo sempre questo tarlo: “ma quando si torna a strappare informazioni alla gente??”.

Sento già le proteste: “Ma Gwen, il gioco va giudicato per quel che è, non per quello che avrebbe potuto essere!”. Non sono d'accordo, ma facciamolo lo stesso: il gioco è un'avventura grafica molto semplificata. Nelle recensioni online, si lamenta il fatto che ci siano “i classici puzzle delle AG”, e questo è una delusione, vista la premessa che proponeva qualcosa di diverso, ma il vero problema è che questi sono puzzle che raramente danno soddisfazione.

C'è il minigioco del furto, c'è il minigioco della serratura, ci sono quattro enigmi in croce... se ci fosse un gameplay solido e coinvolgente, uno sarebbe comunque deluso dal bluff iniziale, ma comunque avrebbe pane per i suoi denti. Purtroppo, The Low Road è più un'avventura casual che un'avventura “seria”.

Non voglio dire che sia brutta. I minigiochi sono molto vari e anche carini. C'è una sfida di poesie, per esempio, molto simpatica; c'è uno scontro verbale che ricorda quello celebre di Monkey Island; c'è una parodia dei QTE... insomma, non è la solita sbobba riscaldata per tutto il gioco. Però non si può dire che sarà la vostra esperienza ludica dell'anno.

Succede, ogni tanto, che il gioco ci tiri davanti qualcosa prima del tempo. Per esempio, risolto un dato enigma, un personaggio potrebbe dirci: “Ora potrai usare l'aeroplano”... quando noi non sappiamo ancora che ci sia, questo aeroplano, o che ci serva a qualcosa.

La storia è molto carina. The Low Road è una variante umoristica del classico James Bond e devo dire che funziona: le battute sono simpatiche, grazie anche a dei dialoghi abbastanza buoni (specialmente quelli di Noomi e del suo capo, Turn).

I personaggi sono ben fatti e sono quelli che danno “calore” alla vicenda. La missione che dovremo compiere, di per sé, è meno interessante della vicenda che coinvolge il capo di Noomi. Turn è un ex-agente del governo, scacciato per motivi misteriosi, che Noomi dovrà, ovviamente, scoprire.

Noomi è già l'agente segreto perfetto: è fredda, calcolatrice, decisa a tutto pur di raggiungere il suo obiettivo. Non può fallire. Ha bisogno di Turn in alcune occasioni, ed è lui che deve essere “aiutato” a diventare la spia perfetta. Il modo in cui aiuteremo Turn (se lo aiuteremo) ci porterà a uno dei due finali del gioco, entrambi “buoni”, ma con sfumature diverse. Ci sono anche finali negativi, ma sono dei game over che fanno riprendere la partita dall'ultimo minigioco andato storto.

La missione da compiere l'ho trovata slegata, tematicamente, da quella personale di Noomi e Turn. Ho capito dove si voleva andare a parare, ma le cose non si incastrano benissimo e non mi hanno convinta. Non posso spiegare di più senza fare spoiler su tutta la vicenda, e mi sembra tutto sommato inutile: non si tratta di un aspetto così fondamentale da modificare di molto il giudizio sul gioco.

Dal punto di vista tecnico, la grafica è graziosissima, le animazioni meno. Sono molto lente e non si può usare il doppio click per passare da un'area all'altra, per esempio.

Manca anche un tutorial. Non è una cosa gravissima, ma perché devo avere quei due minuti di sbandamento mentre scopro da sola i menu, quando bastava una freccetta che mostrasse quattro istruzioni in croce?

Il comparto sonoro invece è stupendo. Le musiche sono splendide, in vero Bond-style, specialmente quelle che ci fanno passare da un capitolo all'altro. Il doppiaggio è buono, anche se non sempre ben registrato (sigh).

Il gioco è in inglese e francese. L'inglese utilizzato non è tanto difficile e il gioco non è a tempo, quindi è sempre possibile rilassarsi e cercare le parole che ci servono o leggere con calma (c'è una sezione a tempo, ma è legata a un minigioco nel quale non serve capire quel che la gente si dice).

L'unico problema può essere dato dalla gara di poesie, perché bisogna prima comporre delle rime (in inglese) e poi fare degli haiku. Gli haiku si basano sul conteggio delle sillabe e la divisione in sillabe inglese è diversa da quella italiana. Io stessa ho sbagliato questo maledetto minigioco per questo motivo.

In definitiva, The Low Road è "un'avventura da ombrellone": semplice, piacevole, non troppo impegnativa e che non dà grandi soddisfazioni, ma che non annoia grazie alla varietà delle situazioni proposte. Da prendere in sconto, magari.

Arriva Theme Hospital in versione 2.0!

Da ex sviluppatori Lionhead e Bullfrog, arriva Two Point Hospital, un sequel del celebre Theme Hospital, classico gioco Bullfrog.

Non si sa ancora moltissimo sul gioco, di cui potete vedere il trailer qui sotto, se non che è, ovviamente, ispirato al predecessore (e a Twin Peaks e Prison Architect). Gli sviluppatori assicurano comunque che questo gioco vuole dare un'esperienza diversa, anche se hanno cercato di mantenere alcuni aspetti del gioco originale, come l'umorismo.

Il gioco è previsto per la fine dell'anno e, a quanto pare, sarà il primo di una serie di sim games realizzati dalla stessa SH.

Intervista agli sviluppatori

Sito ufficiale

Rilasciato South Park: Fractured but Whole

Il seguito di South Park: The Stick of Truth è stato rilasciato ieri: South Park - Fractured but Whole approda su Steam e su Uplay.

Assieme ad esso è stato rilasciato il Season Pass, che permetterà di usufruire delle DLC future previste per il titolo.

Leggi la recensione di South Park: The Stick of Truth

The Inner World: The Last Wind Monk

Attention: spoiler! The Inner World: The Last Wind Monk è un diretto sequel di The Inner World, quindi per forza di cose ci saranno spoiler sul primo titolo. Siete avvisati!

The Inner World è ambientato ad Asposia, un mondo in cui il vento viene evocato dai FluteNose, ossia da degli abitanti con il naso a forma di flauto. Ma Emil, scagnozzo del dittatore Conroy, ha fatto credere a tutti che i FluteNose sono capaci di evocare dei mostri che trasformano in pietra le persone. Ha intenzione di radunarli tutti e ucciderli. Sta a Robert, ultimo erede al trono di Asposia e, ovviamente, un FluteNose, sconfiggere Emil e liberare la sua gente.

Queste le premesse di The Inner World: The Last Wind Monk, sviluppato da Studio Fizbin per la Headup Games e per Kalipso Media Digital. Come dicevo in apertura, si tratta di un sequel diretto di The Inner World, e infatti il gioco parte con un recap del gioco precedente. Anche chi non ha giocato a The Inner World, però, capirà tutto quel che c'è da capire su questo The Wind Monk... anche troppo.

Sì, perché uno dei problemi del gioco è che la storia è priva di sorprese di alcun tipo, e quindi priva di mordente. Sappiamo già tutto fin dal recap iniziale. Chi sono i kattivi, chi sono i buoni, cosa bisogna fare, tutto. Anche la ricerca dell'ultimo Monaco del Vento, che è chiaramente una scusa per far “maturare” Robert, non è una sorpresa, né presenta risvolti particolarmente interessanti. C'è una specie di colpo di scena verso la fine, ma non basta a eliminare la patina di piattezza e semplificazione del resto della storia. Mi viene da dire che è pensata “per bambini”, se non fosse che ci sono storie per bambini piene di uscite inaspettate (e comunque questo The Last Wind Monk presenta delle battute che non so se sono comprensibili appieno da dei bambini piccoli).

Tolto questo, la storia in sé non è malaccio. C'è un tentativo di dare profondità psicologica al protagonista, Robert, che però non riesce appieno perché il gioco è troppo diretto e non ci sono sfumature: i kattivi sono kattivi – tutt'al più incompresi – e i buoni sono buoni – tutt'al più con una vena di sadismo, come nel caso di Laura, l'amica/compagna di Robert.

Ultimo problema relativo alla storia: il senso dell'umorismo. Quest'avventura dovrebbe essere comica, ma... me ne sono accorta solo a metà gioco, quando finalmente ho capito che alcune frasi erano battute ^^'. Raramente il gioco mi ha fatta ridere, tranne che alla fine, dove in effetti c'è una battuta simpatica.

Il gioco è un'avventura punta e clicca classica: dovremo risolvere puzzle, combinare oggetti nell'inventario, parlare con i personaggi e così via. Gli enigmi vanno dal decente al buono; a volte sono un po' macchinosi, ma fanno ragionare e richiedono una buona dose di lateral thinking in alcuni casi. Questo è in parte dovuto all'ambientazione, molto buona, che regala diversi “oggetti” o esseri dalle proprietà uniche. Ad esempio, in tutte le mappe trovate dei cosini luminosi, con cui a un certo punto dovrete interagire. Oppure ancora, ad un certo punto dovrete convincere delle bestiole trivellatrici a fare dei buchi in uno scatolo. Insomma, bisogna capire le logiche dell'universo di gioco per ragionare bene gli enigmi.

Nel caso in cui si restasse bloccati, è disponibile un hint system, che dà suggerimenti sempre più dettagliati, fino a dare la soluzione dei vari enigmi. C'è anche il modo di visualizzare tutti gli hotspot, e ce ne sono davvero *tanti* nelle aree, cosa che fa sempre piacere.

Il gioco è complicato anche dalla possibilità, in alcune aree, di usare più di un personaggio: a volte Laura e Robert dovranno lavorare assieme per risolvere gli enigmi. In realtà, si poteva sfruttare di più questo espediente, perché in alcune aree due personaggi saranno assieme ma fossero stati soli non avrebbe fatto differenza.

Graficamente, io non esco pazza per lo stile utilizzato, ma devo dire che i disegni sono ben fatti, specialmente gli sfondi. Alcune aree sono proprio carinissime, piene di anfratti nascosti e dettagli. Le animazioni non mi hanno esaltata, invece, mi sono sembrate un po' povere.

Le musiche sono molto varie e credo che saranno scaricabili separatamente da Steam. Siccome i FluteNose evocano il vento con la musica, è normale che si sia posta maggiore attenzione a questo aspetto.

Il gioco è sottotitolato in italiano. Il doppiaggio inglese mi è sembrato buono, specialmente quello di Robert e quello di Laura.

The Inner World: The Last Wind Monk può piacere a chi è assetato di avventure grafiche e vuole far lavorare la materia grigia, ma ha poco da offrire per chi cerca una bella storia o anche una storia coinvolgente. Il risultato è un gioco nella media, che non ricordete a lungo.

Kindergarten

Vi ricordate di quando andavate all'asilo? Le prime esperienze da soli fuori casa: giocare con le compagnelle a fare il papà ubriaco, gettare gli amici nelle buche in giardino, tentare di assassinare la maestra e soprattutto di non essere pestati a morte dal bidello... Bei tempi, eh? Beh, grazie a Kindergarten potrete rivivere *tutte* queste esperienze e molte altre ancora!

Kindergarten è un'avventura grafica realizzata da Con Man Games (un nome, un programma) e Smash Games. Noi siamo un bambino senza nome che si reca all'asilo, ogni giorno. Perché ogni giorno è Lunedì in Kindergarten (La Gioia). Qui potremo parlare con i compagni, o con la maestra: ognuno di questi personaggi ha una missione speciale da affidarci, compiuta la quale otterremo una ricompensa, che può aiutarci in altre missioni. Il gioco non ha una trama vera e propria anche se c'è un mistero da risolvere che collega quasi tutti i personaggi: Billy, uno dei bambini, è scomparso e girano strane voci su chi sia il responsabile dell'accaduto. Per far luce su questo caso, dovremo risolvere tutte le missioni dei vari personaggi – e sopravvivere, possibilmente.

Nonostante sembri piccolo, puccioso e carino, Kindergarten non è nessuna di queste cose. Non è “piccolo”, nel senso che la facciata da giochino indie nasconde una serie di rompicapi piuttosto complessi, quasi tutti risolvibili in molteplici modi. Il gioco non ci prende per mano, non ci aiuta molto né ci dà grandi indicazioni. Bisogna esplorare il mondo di gioco, provare cose varie, fallire e riprovare. C'è MOLTO trial and error e molto meta-gaming, ma sono due features che il gioco sa, quasi sempre, gestire. Dico “quasi sempre” perché accumulare paghette può richiedere qualche minuto di noia, ma ci sono modi, in game, per fare soldi più velocemente.
C'è anche un hint system. Io, ingenua, mi ero detta: “vabbè, non lo uso, è barare”. Ahahahaha. L'hint system offre indizi su quel che bisogna fare, offre pezzi del puzzle, non un “aiuto” nel senso canonico del termine. Bellissimo quando l'hint compare dopo che ormai avete capito da soli cosa fare (specialmente dopo le morti, tipo: “non sottovalutare le minacce del bidello” - quando questi ti sta pestando a morte perché hai ignorato le sue minacce).

Kindergarten non è “difficile”, ma richiede pazienza e attenzione e dà grandi soddisfazioni una volta che si è capito uno dei metodi con cui arrivare alla soluzione di una missione. E' bellissimo avere tutti i pezzi davanti e poterli combinare a piacere: anche se è ovvio che le scelte non sono infinite, l'illusione di avere libertà assoluta c'è, perché moltissime opzioni sensate sono disponibili. Vi serve una crocchetta di pollo? Ci sono molti modi per ottenerla, basta un po' di fantasia e la voglia di pestare qualcuno per ottenerla!

Kindergarten non è “puccioso e carino” perché, come avrete immaginato, è un gioco crudele e violento e per di più tutto ciò è usato per farsi quattro risate. L'asilo di Kindergarten è un mondo allucinato in cui tutti sono psicopatici assassini, o sono comunque pronti a diventarlo, ma nessuno, nel gioco, reagisce come se questo fosse strano. Inoltre, il gioco è pieno di citazioni ad altre opere, che fanno semplicemente cappottare: un esempio? Dovete gettare qualcosa su una bambina, per bullarla, cosa scegliete? Mmm... che ne dite di quel bel secchio di sangue di... qualcosa... che sta poggiato nello stanzino del bidello?
Mi sono fatta un sacco di risate giocando a Kindergarten e morendo e uccidendo maestre e compagni!

Una parte del gioco consiste anche nel trovare tutte le carte di mostri che i bambini si scambiano e vendono fra loro. Non è obbligatorio, sono solo collezionabili, ma aggiungono puzzle da risolvere.

Va detto che, anche se si muore, si ricomincia il giorno dopo; anche le morti dei nostri compagni non sono definitive: il giorno dopo li troveremo tutti vivi e vegeti. Il Lunedì “resetta” tutto, tranne i soldi guadagnati e le ricompense vinte, che sono sempre disponibili.

Graficamente, il gioco è adorabile. La facciata pucciosa è costruita con cura, anche se qua e là si notano segni della psicopatia dei personaggi: guardate l'animazione del bidello, per esempio. O le tette ballonzolanti della maestra. O ancora il cadavere nei bagni... Il contrasto fra questi dettagli e la grafica infantile ben si adatta alla crudeltà del gioco.

Non c'è doppiaggio, ma ci sono musiche e ovviamente effetti sonori. In realtà, la maggior parte del gioco ha *una* track, ma è simpatica e non dà noia, specialmente perché è punteggiata da effetti sonori simpaticissimi.

Il gioco è solo in inglese. Si tratta di un inglese semplice, tranne per qualche frase: quelle del bidello possono dare qualche problema, perché sono sgrammaticate, ma penso che al massimo ci si possa perdere qualche battuta. Chi ha un inglese scolastico dovrebbe cavarsela.

Voto pieno per questo Kindergarten, che da al giocatore la libertà di scoprire soluzioni nuove – e in alcuni casi atroci – per le situazioni pazzoidi che dovrà affrontare. E perché fa tutto questo permettendoci di far fuori mocciosi, maestre, bidelli, e, soprattutto, *presidi*!

A Hat in Time viene rilasciato, dopo anni di sviluppo

A Hat in Time, platformer 3D della Gears for Breakfast, è finalmente stato rilasciato nei vari store online. "Finalmente", perché si tratta di un progetto che era approdato su kickstarter nel Maggio 2013 e che ha visto uno sviluppo molto lungo, aiutato anche da torme di volontari che hanno contribuito al progetto.

Il gioco è attualmente in vendita su Steam, GOG e Humble Store.

Ducktales Remastered

Sull'onda della delusione provata per via del malriuscito remake di Castle of Illusion, mi sono fatto attirare da un'altra biec... err... truff... err... volevo dire, da un altro tentativo di recupero di un vecchio videogioco classico del passato: Ducktales Remastered, ispirato al vecchio gioco per NES del 1989. Anche in questo caso si trattava di una collaborazione Capcom/Disney.

Del vecchio gioco su cartuccia si può solo dire che era un bel videogame, uno di quelli tosti, di quelli in perfetto stile NES, che per essere completati richiedevano lacrime, sangue e bestemmioni. A realizzare questa cartuccia furono alcuni elementi chiave dello staff alle spalle della serie Megaman. Questa vecchia gloria fu un successone sotto ogni aspetto, dal comparto tecnico a quello della giocabilità, ed è tutt'oggi considerato uno dei migliori giochi a disposizione del NES.

La base di partenza è quindi sensibilmente diversa rispetto a quella di Castle of Illusion, dove si aveva un buon gioco, però dalle meccaniche obsolete. Al contrario, qui abbiamo un piccolo gioiello per i suoi tempi, seppur nemmeno questo videogame sia da considerarsi una killer application.

Ad ogni modo, nel 2013 esce, come videogioco multipiattaforma questa remastered, a cura di Wayforward Technologies, e il mio pad freme per essere messo alla prova, dopo aver dormito per le 5-6 ore necessarie per portare a termine Castle of Illusion. Per cui, mi reco nello store Steam e procedo all'acquisto, accaparrandomi il videogioco ad un prezzo davvero bassissimo, grazie al periodo di saldi. Il primo impatto con questo Ducktales è positivo, apprezzo lo stile grafico cartoonesco con cui è realizzato, si parla anche in questo caso di un 2.5D dove le sagomine bidimensionali dei protagonisti si muovono su fondali 3D. Proprio come nel videogioco originale, avremo Zio Paperone che si sposterà in giro per il mondo in cerca di cinque tesori, a ostacolarlo ci saranno la Banda Bassotti, la strega Amelia e Cuordipietra Famedoro. Nostri alleati i vari personaggi del cartone animato: i nipotini Qui, Quo, Qua, Gaia, Jet McQuack e altri.

I tempi di realizzazione per questa remastered sono stati davvero molto lunghi e in effetti la software house che se ne è occupata, "apparentemente" sembrerebbe aver svolto un lavoro eccellente. Il perché di quell'"apparentemente" lo scoprirete solo alla fine di questa recensione. Vi ho incuriosito? Così ora dovete leggervela tutta! Come stavo dicendo, il comparto grafico è stato aggiornato, così come quello audio, e sono state aggiunte nuove parti alla storia, per aumentare la consistenza di trama e scrittura. E' stato anche aggiunto un doppiaggio audio servendosi dei doppiatori originali della serie televisiva americana. Il gioco presenta comunque i sottotitoli in italiano, naturalmente.

A questo punto, sebbene reputi il comparto grafico di Castle of Illusion decisamente superiore a quello di questa remastered, non posso che fare un plauso a questi programmatori per essersi impegnati in questo progetto e non essersi limitati a fare il compitino di turno. Il fatto che il più del comparto grafico sia bidimensionale, fa sì che il gioco sia veramente parco in termini di richieste hardware; è infatti possibile giocare senza sperimentare rallentamenti di sorta anche su vecchi pc dotati di schede video Intel integrate ormai stagionate. La struttura dei livelli è assimilabile a quella di un platform in stile Metroidvania: ci muoveremo nelle cinque ambientazioni originali e dovremo raccogliere un discreto numero di oggetti per livello, utili per proseguire fino al boss di turno. Alle volte riceveremo aiuto dai nostri alleati: un passaggio in elicottero, dei suggerimenti, una ricarica per la barra dell'energia, eccetera. Controlleremo Paperone che si servirà del suo bastone saltellandoci sopra per colpire sulla testa gli avversari, o per raggiungere le zone più elevate, altrimenti fuori portata. Anche in questo caso, tanto di cappello: con il pad dell'Xbox360 (con cui vi consiglio di giocare) i movimenti sono millimetrici e perfetto è il controllo dell'azione. Alla fine di ogni livello, verrà fatto il conteggio delle ricchezze, dei tesori, dei bonus che avremo guadagnato e con essi potremo sbloccare delle feature nella gallery, dei bozzetti, le musiche, ecc. ecc. Inoltre potremo far eseguire a Paperone il suo famoso tuffo con il trampolino nelle monete del deposito.

Ma allora questa ciambella è uscita con il buco? Sì e no. Sì, perché come spiegavo la realizzazione è ottima, e no perché purtroppo questo videogioco si rivolge prettamente ai cultori della vecchia cartuccia NES, tremendamente difficile, e alle nuove leve (leggasi: bambini). Infatti, la difficoltà base del gioco è calibrata per essere pari a quella della cartuccia NES, rendendo il gioco incredibilmente complesso e spietato. Il cultore del vecchio capitolo si sentirà esaltato da quest'aspetto, ma chi si approccia al videogioco per la prima volta, si sentirà tremendamente spiazzato di fronte a un simile grado di sfida. Esiste la possibilità di limare verso il basso la difficoltà, ma ciò non porterà il videogioco a raggiungere un tasso di difficoltà più bilanciato, bensì ci ritroveremo davanti ad un gioco troppo facile: Paperone non muore quasi mai, abbiamo a disposizione una mappa dei livelli con segnate le aree degli oggetti più importanti, il Game Over è praticamente inesistente. Quindi fate attenzione: questo videogioco si rivolge tendenzialmente ai cultori dei vecchi giochi NES di una volta, dal tasso di difficoltà molto elevato, o ai bambini del giorno d'oggi. Nessuna via di mezzo.

Fino a questo punto il mio giudizio rimane comunque sostanzialmente positivo, ho apprezzato i nuovi dialoghi, gli spiegoni su ciò che sta avvenendo, la scrittura e il doppiaggio, un po' meno la mancanza di una modalità di gioco dalla difficoltà più bilanciata, più moderna, ma ciò che fa pendere l'ago improvvisamente sul "lasciatelo perdere" ha dell'incredibile.

Purtroppo il gioco non è più completabile o perlomeno, non con tutte le configurazioni. Poco prima della boss battle finale dovremmo infatti assistere a un'animazione arricchita da una serie di dialoghi, finita questa dovrebbe partire lo scontro finale, ma il gioco per via di un bug si pianta inesorabilmente lì. Mi sono armato di santa pazienza e sono andato a spulciare i forum di Steam per cercare di capire quale fosse la causa di questo freeze e di un workaround o di un fix per poterlo superare. Ho così scoperto che questo problema è tristemente noto da un sacco di tempo, per la precisione da circa due anni, e si verifica in presenza di CPU moderne, che vantano più core. Altri dicono che sia correlato alle schede video Nvidia moderne, ebbene non si sa con precisione. La soluzione suggerita prevede disabilitare, con il gioco ancora aperto, tutti i core tranne l'ultimo dal task manager, ma nel mio caso non ha funzionato.

Per fortuna possiedo ancora un vecchio Celeron Dual Core con installato Windows XP e scheda video integrata Intel. Dopo una serie infinita di imprecazioni sono riuscito a trasferire gioco e salvataggi su di esso e ho potuto terminare la mia partita. Come avrete capito da questi miei ultimi passaggi, nonostante le richieste degli utenti, questo game breaking bug non è ancora stato sistemato. Ormai sono trascorsi tre anni dai primi riscontri e il gioco è tuttora da considerarsi assolutamente in-completabile su una configurazione odierna al passo con i tempi. Non ci sono parole, peccato per l'ennesima volta: shame on you, Capcom!

Mosso dalla curiosità ho investigato ulteriormente scoprendo che il linguaggio con cui sono scritti gli script di gioco è il LUA. Questo linguaggio è molto versatile e facile da apprendere e gestire. Considerando che a dare problemi è solamente il livello finale, perché non fixarlo? Un utente del forum di Steam è andato a fondo alla vicenda, scrivendo prima innumerevoli e-mail al supporto Steam, senza ovviamente ricevere assistenza valevole, e poi provando a contattare Capcom innumerevoli volte, venendo anche qui costantemente rimpallato, ma infine è riuscito a raggiungere uno dei programmatori del gioco. Costui si è detto più che disponibile a sistemare queste problematiche, ma ha affermato di non poterlo fare, visto che Capcom non concede il suo benestare. "Perché?" vi chiederete voi... molto semplice, Capcom ha le pezze al culo e non può permettersi di pagare sviluppatori, per i suoi giochi ritenuti "secondari", per realizzare patch e fix al di là del primo periodo di rilascio del gioco. Quindi preferisce abbandonare il supporto e lasciare il gioco in questo stato. A questo punto, Steam dovrebbe imporre il ritiro del titolo dalla vendita nel suo store, ma ciò non avviene. Una situazione incredibile.

Pertanto, e lo dico davvero a malincuore, lasciate perdere Ducktales Remastered, a meno che non possediate un vecchio dual core con scheda video Intel integrata. Due remake, due delusioni, un unico punto in comune: Capcom.

Thimbleweed Park

Corre l'anno 1987. Mentre Ron Gilbert e Gary Winnick stanno dando l'ultima spolverata al codice di Maniac Mansion, l'avventura destinata a rivoluzionare un intero genere, a Thimbleweed Park si consuma un crimine efferato: uno straniero dal vago accento tedesco viene ucciso e lasciato a pixellarsi nelle acque gelide di un torrente. A peggiorare le cose giungono due agenti federali che proprio non riescono ad andare d'accordo e che presto dovranno fare i conti con i misteriosi fratelli Piccione, che in realtà son sorelle, e poi con un pagliaccio turpiloquente e uno sceriffo-a-rino, e un medico legale-a-uh... bentornati, Ron e Gary.

Thimbleweed Park è un'avventura punta&clicca vecchia maniera, con puntatore a croce, verbi grossi così e tanti tanti pixel. È il terzo episodio spirituale di una trilogia inesistente iniziata con Maniac Mansion e continuata con Zak McKracken. È, insomma, esattamente ciò che aveva promesso Ron Gilbert quando lanciò la campagna kickstarter nell'autunno del 2014. Se la grafica non avesse quel tocco di modernità in più e i personaggi non avessero tutti i dialoghi doppiati, sarebbe virtualmente indistinguibile da un gioco LucasFilm di fine anni '80. E la recensione potrebbe finire qui, perché Thimbleweed Park è proprio quello che gli OldGamer aspettavano da anni: tornare a rivivere quelle sensazioni che 30 anni fa li accompagnavano mentre cercavano di salvare la bella Sandy o facevano esplodere uova (o peggio...) sugli aerei di linea.

L'avventura è di fatto una raccolta completa di tutti gli stilemi che caratterizzano i titoli Lucas firmati da Gilbert. Già dalle primissime cliccate ci si ritrova davanti a una luuuuuunga schermata "scrollabile", chiarissimo omaggio al genio/follia di Ron, che per Maniac Mansion volle spremere la (poca) potenza di calcolo del C64 (l'allora piattaforma di riferimento) inserendo location non più limitate dalle dimensioni dello schermo, ma attraversabili nella loro lunghezza. Una vera e propria sfida tecnica e ideologica, insieme all'introduzione di un'interfaccia P&C, in opposizione alla fissità delle avventure Sierra che ai tempi dominavano il mercato.

Tornano anche i personaggi multipli e ce ne sono ben cinque, dopo che erano stati 3 in Maniac Mansion e 4 ("fissi" come in Timbleweed Park) in Zak McKracken. Se non li distanziasse un modo completamente differente di immaginare l'avventura, si potrebbe quasi fare un parallelo inverso con la serie di Gobliiins. Anche lì si "giocava" con il numero dei personaggi, che a ogni capitolo andavano diminuendo (insieme alle i nel titolo), da Gobliiins a Goblins 3.

La lista non finisce qui, con richiami che abbracciano anche Monkey Island, con le sue porte-scorcatioia, i suoi labirinti, la sua mappa interattiva, gli enigmi basati sul dialogo e la possibilità di scegliere tra la modalità "facile" e quella "difficile". Tutto questo venduto per soli 19.99 dollari (euro). Chi è che diceva che nessuno dovrebbe mai comprare un gioco per più di 20 dollari?

Thimbleweed Park è dunque l'avventura perfetta? L'Alfa e Omega del P&C?

Ebbene. la risposta è semplice: no. I motivi, molteplici.

Nella sua volontà di resuscitare sensazioni perdute, Gilbert si è concentrato nell'infarcire il gioco di citazioni e strizzate d'occhio ai suoi giochi precedenti e all'epoca della "guerra" tra Lucas e Sierra. A furia di richiamare personaggi e scenari del passato, però, Thimbleweed Park perde "personalità", quasi come se il gioco non fosse più un prodotto a sé stante, ma una semplice piattaforma dove collocare (in maniera nemmeno troppo raffinata) una serie di rimandi che hanno il solo scopo di accendere una fiammella nel cuore degli OldGamer. Il tutto realizzato in modo un po' troppo sistematico, che invece di richiamare un nostalgico tepore, alla lunga lascia l'amara impressione di una pianificazione fredda e un po' ruffiana. Per essere riconosciuto come un gioco "alla Gilbert" bastavano i vari segnali di stile elencati a inizio recensione (senza esagerare però, perché dopo 10 schermate luuuuunghe, un po' ci si annoia pure).

Esaminata come semplice avventura, Thimbleweed Park mostra lacune di sceneggiatura e di gameplay. I 5 personaggi giocanti, per esempio, sono quasi sempre intercambiabili e non dialogano mai tra loro. Il gioco salta a pié pari tutta la fase di scambio di informazioni e di interazione tra i PG: tutto d'un tratto, persone che non si sono mai conosciute prima iniziano a collaborare per raggiungere un obiettivo comune, senza che il gioco spieghi esplicitamente i motivi di tale collaborazione. Si tratta di dialoghi "superflui", certo (dato che comunque il giocatore è il vero punto in comune tra i cinque ed è il motivo ultimo per cui essi interagiscono tra loro), ma la loro assenza si fa sentire in un gioco dove la narrazione dovrebbe avere un ruolo di primo piano.

La trama presenta problemi simili, con situazioni non spiegate e cambiamenti di focus che lasciano un po' interdetti. A volte, raggiungendo schermate vuote e inutili (la fermata dell'autobus è un esempio lampante), si ha la sensazione di trovarsi di fronte a un gioco incompleto, con parti di storia tagliate o fortemente ridotte. Anche il finale, per quanto apprezzabile nell'idea, sembra messo insieme all'ultimo minuto, senza troppe cerimonie o raffinatezze (il sospetto è che il denaro raccolto con il KS non sia stato davvero sufficiente per coprire 2 anni e mezzo di sviluppo).
Gli enigmi, tuttavia, aiutano a risollevare la parte ludica di Thimbleweed Park, con puzzle quasi sempre onesti e "logici" (in linea con la filosofia definita da Gilbert negli ultimi anni). Volendo trovare il pelo nell'uovo, i palati più raffinati potrebbero lamentare la mancanza di un pizzico di complessità in più, ma il susseguirsi di soluzioni ha un ottimo ritmo e non intralcia mai lo svolgersi della vicenda, pur senza scendere mai troppo nel banale. Anche i classici momenti "usa tutto con tutto" sono ridotti al minimo.

Una nota di merito va al traduttore che è riuscito a restituire lo stesso feeling delle vecchie traduzioni italiane. Anche quando alcune frasi sembrano non perfette al 100%, l'effetto è quello di rievocare certi "inciampi" delle localizzazioni anni '80.

Come giudicare, dunque, Thimbleweed Park? Per noi che c'eravamo, la risposta è semplice: pur con tutti i suoi difetti, l'ultima fatica di Ron Gilbert & Co. è un riuscito omaggio a un'epoca che non c'è più; una specie di fossile (con qualche ossicino mancante) che sa catturare l'attenzione con il fascino misterioso del passato. Ha, insomma, tutto il diritto di ritagliarsi uno spazio nel cuore di tutti gli appassionati, soprattutto quelli con qualche anno in più sul groppone.

In due parole: DA GIOCARE!