Doom & Destiny

 
Se quest’articolo fosse una recensione canonica allora inizierei affermando che Doom & Destiny è un JRPG indipendente che omaggia Final Fantasy, anzi no, il fantasy vero e proprio. Ma ciò non gli renderebbe affatto giustizia: lo sminuirebbe. È evidente come l’autoironia dell’ultima fatica dei ragazzi di HeartBit Interactive (ospiti oltretutto di un interessantissimo episodio del podcast dell’Occhio del Beholder che potete ascoltare qui) permei tutto il gioco agendo all’unisono insieme a meccaniche di gameplay profonde e per nulla banali.
 
Se quest’articolo fosse una recensione canonica allora dovrei proseguire con l’incipit narrativo che prende in giro la subcultura nerd a tutto tondo. Nigel, Mike, Johnny e Francis sono quattro ragazzi ossessionati dai giochi di ruolo, come il sottoscritto. Adorano trascorrere le serate radunati attorno ad un tavolo in un’oscura cantina tirando dadi e mangiando cibo spazzatura insieme al Master Benjamin (…Ficus?). A volte però la vita sa essere crudele e il destino non manca di certo d’ironia: ecco quindi i nostri quattro guerrieri della luc… pardon, baldi giovani, intrappolati all’interno di un universo parallelo / mondo fantastico a metà strada tra il medioevo e il tecnologico. L’unico modo di tornare a casa? È ovvio, sconfiggere il cattivone di turno (per evitare l’elettrocuzione ci riferiremo a lui con l’appellativo de l’“Innominato”… no, non quello dei Promessi Sposi) e terminare il gioco.
 
 
Se quest’articolo fosse una recensione canonica allora sarebbe auspicabile che ne analizzassi i processi ludici. La tradizione ruolistica nipponica impone quindi il controllo di un party con l’alternanza di due sezioni principali: l’esplorazione di una città / dungeon / regione geografica bidimensionale attraverso lo spostamento dettato dai quattro punti cardinali e il combattimento, rigorosamente a turni. Entrambe le fasi stimolano l’attenzione nonché le capacità strategico-gestionali del giocatore. Se nelle prime si è spinti ad interagire raggiungendo ogni anfratto parlando con i personaggi non giocanti, nel lungo periodo le scelte del gioc-attore (sì, giocatore + attore, dopotutto stiamo interpretando un ruolo) producono frutti quali la scoperta di equipaggiamento o abilità che si rivelano indispensabili non appena scoppia all’improvviso la battaglia. Inutile dire che la disposizione di armi, armature, accessori e poteri allocati sino a quel preciso istante facciano davvero la differenza tra un avventuriero morto ed baciato dalla dea della vittoria nonché rafforzatosi dai punti esperienza appena acquisiti.
 
Raggiunta una certa soglia si apriranno innumerevoli possibilità: è meglio incrementare la caratteristica di Possanza (no, credetemi, no è un errore grammaticale!) per ottenere più HP oppure la Simpatia così da salire di livello più velocemente? Voglio che Nigel infligga più danni in stile esperto di arti marziali oppure si focalizzi sulla rapidità e l’evasione come un ninja? Sono tutte opzioni tattiche valide che potrete seguire a seconda del vostro stile di gioco. Certo, anche le strategie impiegate durante lo scontro influenzano pesantemente l’esito della battaglia. A volte occorre essere rapidi ed eliminare prima gli incantatori, altre muoversi con cautela indebolendo il boss di turno e curandosi a vicenda. E infine arriva la mia parte preferita del gioco: la fine dello scontro con annessa ricompensa, che riconosce le doti tattiche del giocatore.
 
 
Se quest’articolo fosse una recensione canonica allora tratterei in modo rigoroso gli aspetti tecnici. Il motore di Doom & Destiny, la sua anima digitale, deriva dall’arcinoto RPG Maker, con tutti i pregi e limitazioni del caso. Nondimeno si tratta però di un titolo ben confezionato, con uno stile grafico retrò colorato ed ispirato all’epoca d’oro 8–16 bit della Square (oggi nota come Square-Enix). Le colonne sonore sono orecchiabili seppur siamo lontani anni-luce dai livelli qualitativi delle composizioni di Uematsu. Ma considerata la natura indipendente del progetto si può soprassedere, direi. Una piccola menzione d’onore ai controlli delle due versioni provate: il passaggio dal controller Xbox 360 all’interfaccia touch di smartphone / tablet risulta abbastanza intuitiva presentando una mappatura dei pulsanti che divide a metà lo schermo proprio come le due parti speculari del pad.
 
Se quest’articolo fosse una recensione canonica allora concluderei valutando l’acquisto del gioco. Ebbene mi sento di promuovere appieno Doom & Destiny per una serie di motivazioni, oltre a quelle già citate in precedenza. Perché bisogna sostenere gli indie e le piccole produzioni, specie se nazionali. Perché il gioco è disponibile su molte piattaforme e negozi digitali, al prezzo di un cappuccino con cornetto. Ma soprattutto perché mi ha ammaliato e divertito come pochi GdR hanno saputo fare. Ecco, l’ho detto.
 

Gufino scrive:08/04/2014 - 15:14

Bella recensione, e anche il gioco sempre interessante :) Solo una piccola precisazione sulla frase finale: "Perché bisogna sostenere gli indie e le piccole produzioni, specie se nazionali." Aggiungerei che ci vuole un po' di discernimento, altrimenti il pregiudizio (in positivo) ci farà comprare un sacco di porcherie solo perché fatte in Italia o perché abusano furbamente del termine "indie" ;)

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