Shadowrun: Hong Kong

Premessa: un sentito ringraziamento a Ravenloft per aver beta-letto la recensione e avermi dato vari suggerimenti. Grazie, Ravi!

Shadowrun: Hong Kong è il terzo titolo della serie Shadowrun sviluppato da Herebrained Schemes. Dopo Shadowrun Returns, che ci ha portato l'ossatura tecnica della serie, e Dragonfall, che a quell'ossatura aggiungeva una trama e dei personaggi meravigliosi, come si colloca questo Hong Kong, e cosa porta di nuovo al giocatore?

Siamo nel 2056, a Hong Kong, appunto. Il nostro patrigno, che non vediamo da anni, ci ha rintracciati a Seattle, chiedendoci di raggiungerlo, ed eccoci sbarcati in Cina. Come c'era da aspettarsi, le cose vanno presto a catafascio e noi ci troviamo ricercati, senza nome e in cerca dell'appoggio della mafia locale.
Queste le premesse della missione principale di questo capitolo della serie. Cercare il nostro patrigno e capire chi ce l'ha con noi e perché sarà il nostro scopo ultimo. Nel mentre, dovremo fare qualche lavoretto per Kindly Cheng, la boss mafiosa che ha avuto la “gentilezza” di accoglierci fra i suoi membri e farci diventare shadowrunners.

In verità, la protagonista del gioco è l'ambientazione. Secondo me la più riuscita e originale fra quelle dei tre titoli della serie, l'ambientazione di SR:HK unisce il cyberpunk proprio di Shadowrun con le influenze della cultura cinese, creando un mix unico e difficilmente dimenticabile. Questa particolarità si fa sentire anche nelle missioni: ci troveremo, per esempio, a rovinare il feng shui di un ufficio per attirare la sfiga sui lavoratori, oppure potremmo decidere di “avvelenare” un nemico con dei gamberetti assassini...
Missioni e personaggi (NPC compresi) sono fatti per restare impressi e risultare sempre almeno un po' particolari. Tutti hanno un background di qualche tipo – dall'epico, al comico, al patetico – e tutti vorranno parlarvene. Da un lato questo è un po' esagerato (siete il nuovo arrivato ma tutto il mondo è pronto ad aprirsi con voi, e non sempre dopo che li avrete presi a cazzotti), dall'altro ho avuto solo piacere a scoprire le diverse storie nascoste dietro l'ultimo degli NPC.

Dove il gioco in parte pecca è proprio nella storia principale. L'inizio è molto bello e molto forte: il vostro personaggio è nei guai per motivi personali e familiari, non per occuparsi della missione di qualcun altro. E vediamo per la prima volta nella serie la “discesa” nelle ombre: questa volta voi non partite come uno shadowrunner, ma lo diventate per forza di cose ed è un cambiamento da cui non si torna indietro.

L'effetto è in parte rovinato perché non vi viene detto nulla di quello che eravate *prima* di diventare Shadowrunner (o meglio, vi viene detto, ma molto più avanti). Il gioco non vi dà il tempo di affezionarvi al vostro patrigno prima di farlo sparire, e non vi dà un assaggio di quello che state sacrificando diventando Shadowrunner. Per fare un paragone, in Dragonfall la sensazione di essere in una “famiglia” e di vederla distrutta sotto i propri occhi è molto più forte, perché per varie missioni voi avete vissuto con quella famiglia. In Hong Kong questo non succede per il personaggio principale (succede invece per vostro fratello, Duncan, ma vivere il dramma per interposta persona non è la stessa cosa che viverlo “per se stessi”) e siccome essere uno shadowrunner è, diciamolo, figo (in quanto siete il protagonista), non si percepisce bene il peso del sacrificio compiuto.

Dopo questo inizio, la trama principale è lasciata un po' a se stante, e prosegue solo grazie a imboccamenti di Kindly Cheng: le missioni secondarie sono slegate dal resto e non danno neanche indizi riguardo quella principale. Non passa totalmente in secondo piano perché di quando in quando Kindly Cheng vi dà un aggiornamento della situazione, e potrete parlare con i vostri companions e con gli NPC di quello che sta succedendo, ma passerete il tempo a fare sostanzialmente altro. Insomma, la missione principale va da “Prologo” a “Atto finale”, con giusto una spruzzatina di “Atto Intermedio” sbloccando il quale non potrete più fare alcuna missione secondaria. Il risultato è che ad un certo punto avrete finito tutte le missioni dei companions, gli abitanti della città non avranno nulla di nuovo da dirvi, avrete in coda la “missione di non ritorno” e una sfilza di missioni secondarie opzionali da concludere prima di tornare alla trama principale.

Ultima pecca, alcune cose non sono spiegate neanche alla fine del gioco, come il motivo per cui vi levano la taglia dalla testa. I pg fanno delle supposizioni, ma sono solo questo: supposizioni. In verità secondo me sono un indizio sul fatto che ci sarà un'espansione o un seguito diretto di questa storia, ciò non toglie che chi ci gioca oggi non trova spiegazioni ma supposizioni posticce.

Ora, tutto ciò non significa che la storia di SR:HK faccia schifo, anzi. E' molto bella, evocativa in alcuni punti, commuovente in altri, epica in altri ancora – e non dimentichiamo l'umorismo di fondo di tutta l'ambientazione, capace di prendersi gioco di tutto e tutti. Solo, poteva essere gestita un po' meglio e non è allo stesso livello di quella di Dragonfall. Ma è comunque una bellissima storia, piena di personaggi particolari e interessanti che, se vi piace il genere, vi coinvolgerà quasi sicuramente.

Passiamo al gameplay. Che è quasi identico a quello che abbiamo già visto in Returns e Dragonfall, ma la Herebrained Schemes ha aggiustato un paio di cosette.
Quella che notiamo subito è l'interfaccia, più pulita ed elegante rispetto al titolo precedente. Ho letto in giro di giocatori che hanno notato ritardi negli input e altri problemi simili, ma a me il gioco non li ha mai dati e tutto è filato liscio come l'olio.

Il combattimento è sempre tattico strategico ed è affrontabile in modi diversi a seconda dei personaggi che avete nel party. In generale gli scontri sono più facili rispetto a quelli dei titoli precedenti: in questo Hong Kong non ricordo nessuno “scontro-incubo” come alcune parti di Returns e Dragonfall. E' stata introdotta una magia di cura “migliore”, che non cura solo l'ultima ferita inflitta, e vengono assegnati un po' troppi punti karma, di modo che il nostro personaggio può sviluppare un sacco di abilità e caratteristiche.

La Magia è stata un po' depotenziata e sono stati introdotti incantesimi diversi con effetti multipi. Nonostante ciò, è possibile completare tutta l'avventura solo con le magie “di base”, quindi benché il gioco sia stato bilanciato, c'è ancora del lavoro da fare.
Anche gli innesti cibernetici, che ho sfruttato molto, sono stati migliorati e sono molto più utili. Questo da un lato permette di poter usare meglio alcune “classi” (come quella corpo a corpo), dall'altro rende più facile la vita al giocatore, anche considerando che molti potenziamenti costano davvero poco in termini di Essenza, ed è possibile quindi installarne un bel po'.

La Matrice è stata cambiata un bel po'. Intanto, bisogna superare delle sentinelle per spostarsi nella Matrice, con tempismo e riflessi; in più, non basta cliccare su un “node” per hackerarlo, ma bisogna superare dei piccoli puzzle di memoria e rapidità. Non troppo complicati, ma danno varietà e fanno aumentare l'ansia di essere beccati se, come la sottoscritta, non si è molto bravi a farli. Secondo me è un bel passo avanti rispetto alla Matrice dei precedenti titoli, che adesso mi appare un po' piatta e noiosa.

C'è un sacco di illusione di libertà in SR:HK, nel senso che spesso le nostre scelte hanno poco effetto sugli eventi veri e propri o non ne hanno nessuno. Ma le missioni possono essere approcciate in modo molto vario, a seconda dei vostri gusti e delle abilità che avete deciso di sviluppare, e l'approccio scelto influenzerà non solo il feeling della missione ma anche il pagamento della stessa ed eventuali commenti degli altri personaggi. Buono l'uso dell'abilità carisma: ho giocato con diverse etiquettes e ho notato che prima o poi tutte si rivelano utili per raggiungere qualche obiettivo, anche se alcune sono più usate di altre.

La missione principale ha quattro o cinque diversi finali (diciamo che alcuni sono “varianti” di un solo finale, più che finali a parte): soddisfacenti, anche se avrei preferito più “scale di grigio”.

Dal punto di vista grafico, ci troviamo davanti a un bellissimo “more of the same”. Il che significa stupendi fondali disegnati a mano, ricchi di dettagli. Alcune locations sono davvero “lussuose” e i colori spesso sgargianti della cultura cinese (due su tutti, il rosso e l'oro) contrastano bene il grigio e la pioggia propri dell'ambientazione cyberpunk. Anche la Matrice è più bella di prima, con alcune “sale” realizzate stile giardino orientale (e, ovviamente, color oro).

I modelli dei personaggi sono in 3D e non particolarmente stupendi: i loro ritratti, che compaiono durante i dialoghi, sono disegnati meglio e coinvolgono sicuramente di più. La visuale è sempre isometrica e qui devo dire che in un paio di casi avrei voluto girarla perché mi sono trovata la visuale impedita da qualcosa (pg o oggetto nello scenario).

Da segnalare infine alcuni piccoli bug che ho riscontrato durante i dialoghi: a volte appare un ritratto invece di un altro, oppure il nome del pg sbagliato.

Il sonoro è grazioso ma non eccezionale. Non mi è rimasta impressa nessuna delle tracce di sottofondo, ma quando giocavo le ho trovate graziose e mai fastidiose. Non c'è doppiaggio, e questo in parte è un peccato, perché avrebbe fatto la sua porca figura in più di un'occasione.

Cosa dire quindi di questo Shadowrun: Hong Kong? E' un ottimo terzo capitolo, con un'ambientazione stupenda, una bella storia e personaggi interessanti, che propone un combattimento tattico molto soddisfacente e vario. E' anche un “more of the same” dei precedenti capitoli, cosa che sicuramente farà piacere agli appassionati e ai fan, ma che potrebbe scontentare alcuni che si aspettavano più passi avanti dal nuovo titolo della Herebrained Schemes.

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